Il capitalismo ci fa male, anche se non ce ne vogliamo accorgere.

da Il Manifesto il commento della settimana del 21 dicembre di Silvio Greco. Non avrei potuto spiegare meglio contro cosa dobbiamo combattere, oggi più di ieri, prima di raggiungere il punto di non ritorno.

Ormai da tempo cerco di spiegare agli amici, ai colleghi, ai conoscenti, come molti dei guasti che ci stanno rovinando la vita dipendono dal sistema capitalistico, che negli anni ha abbattuto gli anticorpi deputati a fermarlo. A volte comprandoli, a volte uccidendoli, a volte semplicemente usando il principio della rana bollita, che si abitua a poco a poco al calore dell’acqua finchè non è troppo tardi. C’è chi mi crede, chi mi dà retta per stima, chi non se ne cura ma guarda e passa, come diceva il poeta.

Silvio Greco spiega benissimo, in questo breve commento che vi riporto, cosa sta succedendo. Investite 5 minuti nel leggerlo. Poi aprite gli occhi. E poi partiamo per la rivoluzione, o sarà troppo tardi. Presto.

“Le placente umane – anche le placente umane – contengono plastica. Non come un bicchiere contiene il succo d’arancia, no. Piuttosto come il succo d’arancia contiene le vitamine. Ma è un paragone sbagliato, fuorviante. Perché le vitamine ci fanno bene. Anche Antonio Ragusa, primo autore dello studio e direttore di Ostetricia e ginecologia al Fatebenefratelli di Roma, l’ospedale che insieme al Politecnico delle Marche ha condotto la ricerca, ha provato con un paragone: «È come avere un bimbo cyborg, non più composto solo da cellule umane, ma misto tra entità biologica e entità inorganiche».

Solo che i cyborg sono personaggi della fantascienza, e sono fichissimi. Invece l’idea che un bambino venga nutrito da residui di plastica di bottiglie, smalti per unghie o tracce di cosmetici è spaventosa. Eppure non ci siamo spaventati. Telegiornali e quotidiani non l’hanno data con i toni apocalittici che usano quando falliscono le banche o crollano le borse. Invece dovrebbe farci molta paura. Nessuno sa a che livello di profondità e complessità quelle particelle interferiranno con gli organismi delle prossime generazioni. Se un’indagine si fa su 6 donne e su tutte e 6 si trovano riscontri, allora è molto probabile (e infatti ci sono già altri studi a dimostrarlo) che quelle microplastiche siano in tutti noi: anche nei bambini in età scolare, nelle donne non gravide, negli uomini. Non siamo cyborg, ma, e con una potenzialità molto più alta della norma, malati oncologici, leucemici, adulti sterili, e non si sa – non si sa – cos’altro.

Tuttavia c’è una riflessione che dovrebbe spaventarci ancora di più. Ed è quella su quanto lontano ci siamo spinti, quanto lontano (da noi stessi e dai nostri interessi di specie vivente) ci ha spinto un sistema orientato eminentemente al mercato, al profitto. Il capitalismo ha iniziato presto a sfoggiare con tracotanza i suoi stessi difetti, il carrozzone di diritti negati, disuguaglianze e iniquità del quale è alla guida. Ma dato che toccava sempre a “qualcuno altro” rispetto alle classi più protette e i cui diritti erano invece garantiti nessuno ha intralciato il cammino del carrozzone.

Qualche correzione, certo, è stata messa in atto, qualche grande conquista è stata raggiunta. Ma non si aveva mai la chiara esplicitazione della lotta che le persone dovevano condurre contro il capitalismo. La giornata lavorativa di 8 ore anziché le 16 di inizio rivoluzione industriale, ad esempio, così come tutti i diritti dei lavoratori che nel tempo sono stati messi nero su bianco, non viene spiegata nelle scuole come una vittoria dei cittadini contro il capitalismo, ma come una conquista a favore dei diritti dei lavoratori.

In ogni caso, la narrazione dice che se il capitalismo fa danni li fa “a casa sua” ovvero nei luoghi di lavoro e nei mercati. E gli altri danni? Chi inquina i nostri fiumi e i nostri mari? Chi rende irrespirabile l’aria delle città? Chi consente di costruire edifici che certamente crolleranno causando altrettanto prevedibili morti? Chi sotterra rifiuti tossici in aree agricole? Chi – a monte – consente produzioni tossiche? Chi sversa metalli pesanti in mare? Chi smaltisce illegalmente plastica che si disperderà nell’ambiente? Chi non si pone il problema della contaminazione da packaging del cibo messo in commercio? Chi non rispetta il principio di precauzione quando si tratta di immettere nel sistema vivente una nuova sostanza?

Di volta in volta si trovano locuzioni tranquillizzanti o colpevoli singoli, ma il capitalismo non viene indicato come responsabile: invece sono tutte vittorie del Capitalismo contro l’Umanità. Sulla responsabilità della plastica nei feti, qualcuno proverà a darla alle donne della ricerca pubblicata da Environment International, e d’altronde c’è chi ha dato la colpa del Coronavirus ai pangolini: siamo bravi a non vedere più in là del nostro naso, ce lo ha insegnato il migliore dei maestri, il capitalismo stesso.

Eppure qualcuno aveva visto il danno già molto tempo fa: «Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza ecc – tutto divenne commercio». Era il 1847. Era Karl Marx. Se politica, ricerca e impresa sanno ancora fare il proprio mestiere, non possono che ripartire da lì.”

Silvio Greco, Il Manifesto, 21 dicembre 2020

Intanto, il 7 dicembre scorso l’acqua è diventata in California un ‘future’, un termine tecnico per dire che l’oro blu è entrato nel mercato azionario e ora si può scommettere sul suo valore futuro, come il petrolio e l’oro. Il dado è tratto! L’Onu ha reagito subito affermando che non si può dare un valore all’acqua come si fa con altri beni commerciali. Nel 2010 l’Onu aveva affermato: «L’accesso all’acqua potabile e servizi igienico-sanitari sono tra i diritti umani universali e fondamentali». Ma intanto abbiamo cominciato a quotare in borsa l’acqua. Credo ci sia di che meditare seriamente.

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